Non è raro ricevere una proposta di lavoro a chiamata, anche se c’è chi è convinto che non sia del tutto conveniente e sia meglio rifiutare. Ecco in cosa consiste e come è meglio agire.
Trovare un impiego non può che essere fondamentale per tutti, specialmente per chi ha una famiglia da mantenere; proprio per questo a volte si finiscono per accettare proposte che non riguardano direttamente l’ambito in cui si è preparati. Pensare di ricevere un contratto a tempo indeterminato è quasi utopia, anzi sono sempre di più le realtà che propongono soluzioni che hanno una durata di tempo davvero limitata, ben sapendo come sia inevitabile accettare in attesa di qualcosa di migliore.
È in crescita il numero di imprese che garantiscono solo il lavoro a chiamata, ritenuto da alcuni addirittura umiliante visto che porta a essere in bilico e non garantisce certezze sul futuro. Ma è davvero ideale rifiutarlo?
Si sente spesso parlare di lavoro a chiamata, ma molti con ogni probabilità potrebbero non sapere di cosa si tratti. Colmare questa lacuna può essere importante, in modo tale da potersi districare al meglio qualora dovesse arrivare una proposta.
Un impiego di questo tipo è nato nel 2003, in seguito all’entrata in vigore della Legge Biagi, e punta a garantire flessibilità a entrambe le parti, lavoratore e impresa. Un’azienda può così avere dei dipendenti al suo servizio, ma senza legarli a un contratto duraturo, ma allo stesso tempo senza la necessità che la persona debba aprire una partita IVA, con tutti gli oneri che questa può comportare.
Non è però una soluzione che può essere sempre applicabile, è adatta infatti a giovani e anziani, che possono avere bisogno di avere un impiego e non vogliono restare inattivi. Questa soluzione ha il vantaggio di garantire tutti i diritti tipici di un lavoro subordinato, proprio per questo chi è legato da un rapporto di questo tipo riceve la busta paga ed è soggetto alle normali trattenute Irpef-
Un datore di lavoro può scegliere di puntare sul lavoro a chiamata quando può avere un progetto da portare a termine e ha quindi l’esigenza di avere un maggior numero di persone al suo servizio. Si ha così modo di garantire ai lavoratori le tutele di cui hanno bisogno, ma allo stesso tempo non sono previsti vincoli duraturi.
Il lavoro a chiamata può essere offerto a soggetti che hanno meno di 24 (e per prestazioni che devono concludersi entro il 25° anno di età) o più di 55 anni. In questa categoria possono quindi rientrare gli studenti universitari che desiderano essere indipendenti dalla famiglia o persone non più giovanissime che possono avere perso il lavoro precedente, ma che non hanno ancora maturato i diritti per la pensione.
Non si può però andare oltre le 400 giornate di lavoro effettivo nell’arco di tre anni solari, a eccezione del settore dello spettacolo. Qualora si superassero le ore, il lavoratore ha diritto ad avere un contratto a tempo indeterminato.
Il lavoro a chiamata si rivela la soluzione adatta soprattutto per turismo e spettacolo. Chi vuole offrirlo può prendere contatto con le persone che reputa più adatte e specificare tutte le caratteristiche del ruolo. È necessario utilizzare però il tipo di mezzo di comunicazione stabilito a priori per dare comunicazione del proprio bisogno. In fase di accordo è necessario specificare la durata del rapporto, il tipo di impiego e le modalità di svolgimento.
La busta paga deve essere dettagliata e deve prevedere le indicazioni relative a giorni e ore lavorate, oltre a tipo di attività svolte, le trattenute fiscali, contributive e previdenziali effettuate dal datore di lavoro e importo netto. Non è detto che la cifra percepita possa essere fisso per tutti i mesi, può variare a seconda di quanto stabilito. Sono previste anche ferie e tredicesima, ma calcolate in base all’apporto dato.
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