Quando si parla di affitto di un immobile, una delle questioni più spinose e fonte di frequenti controversie tra inquilino e proprietario riguarda la ripartizione delle spese per le riparazioni dell’appartamento.
La legge italiana, pur essendo piuttosto generica e lasciando ampio spazio all’interpretazione, stabilisce dei criteri base per determinare a chi – tra locatore e conduttore – spettano le diverse tipologie di spese legate alla manutenzione dell’immobile.
Non farti fregare, non potrà davvero mai chiedertelo.
In linea generale, possiamo dire che le spese di manutenzione ordinaria ricadono sull’inquilino mentre quelle straordinarie sono a carico del proprietario.
Tuttavia, questa distinzione può essere modificata da specifiche clausole inserite nel contratto di affitto. È quindi fondamentale conoscere quali sono esattamente queste due categorie di intervento per capire chi debba effettivamente farsi carico delle diverse tipologie di lavorazione.
La manutenzione ordinaria comprende tutte quelle operazioni necessarie a mantenere l’immobile nelle condizioni in cui è stato consegnato al momento della stipula del contratto.
Questo include ad esempio la piccola manutenzione come la sostituzione delle guarnizioni dei rubinetti, la riparazione degli interruttori della luce o il mantenimento in efficienza della caldaia (purché non richiedano opere murarie). Inoltre, qualora danneggiamenti o malfunzionamenti siano direttamente imputabili all’incuria o al cattivo uso da parte dell’inquilino, anche le riparazioni più consistenti rientrano nelle sue responsabilità.
Le spese straordinarie invece riguardano interventi che vanno oltre la semplice conservazione e che sono necessari per restaurare o migliorare l’immobile.
Questo include lavorazioni come la sostituzione della caldaia (se non dovuta a maluso), riparazioni importanti alla struttura dell’edificio o agli impianti idraulici ed elettrici che richiedono opere murarie significative. Anche i danneggiamenti causati da eventi fortuiti non imputabili all’inquilino rientrano in questa categoria.
Il codice civile italiano consente alle parti – locatore e locatario – una certa libertà nella definizione dei termini del contratto d’affitto; ciò significa che è possibile derogare ai principii generalmente accettati riguardo alla distribuzione delle responsabilità per le spese.
Tuttavia, questa possibilità varia significativamente a seconda del tipo di contratto stipulato.
Nei contratti d’affitto definiti “a canone concordato“, ovvero quelli soggetti ad un regime particolare volto a contenere i prezzi degli affitti attraverso accordi locali tra sindacati degli inquilini e associazioni dei proprietari immobiliari, la legge impone limitazioni precise.
In questi casi è infatti illegittimo attribuire all’inquilino oneri relativamente alle spese straordinarie poiché ciò comporterebbe un superamento del limite massimo del canone stabilito dagli accordi localmente ratificati.
Diversamente avviene nei cosiddetti “contratti liberi” (4+4), dove maggior peso viene dato alla negoziazione privata tra le parti.
Qui è possibile stabilire liberamente come distribuire gli oneri relativamente alle diverse tipologie di manutenzioni; il proprietario potrebbe quindi richiedere all’inquilino un contributo anche per le spese considerate “straordinarie”, oppure definire una quota percentuale specifica destinata a tali lavorazioni.
Queste differenze evidenziano l’importanza dell’autonomia negoziale nel contesto dei rapporti d’affitto residenziale in Italia.
La capacità delle parti di definire terminologia specifiche nel loro accordo consente una certa personalizzazione del rapporto locativo ma implica anche la necessità per entrambi i contraenti – sia locatore sia conduttore –di avere piena consapevolezza dei propri diritti e doveri secondo quanto stabilito dalla legge ma anche dalle clausole eventualmente negoziate individualmente nel proprio contratto d’affitto.
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